Việt Văn Mới
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IL MIO RITORNO A CASA.



                      


S tanchissima. Cosi’ mi sentivo in quel momento , con dolori da ogni parte mentre le continue scosse del treno si ripercuotevano sulla mia schiena. In alcuni brevi momenti la stanchezza mi aveva fatto sprofondare in un sonno lieve , con la testa ciondolante, per poi svegliarmi all’improvviso sollevando la testa con uno scatto violento e conseguente dolore alla nuca.

Ma piu’ che per la stanchezza e la scomodita’ del viaggio, il mio malessere era aggravato dal vedere tutta quella gente stipata in questo vagone , tra borse, valigie e pacchi legati in modo approssimato , bambini piangenti, corpi addossati uno all’altro, per ripararsi dal freddo e attutire la durezza dello schienale di legno dei sedili.

Quanti sacrifici per quei pochi giorni passati con i propri cari! Tanti avevano lavorato tutto un anno, risparmiando per poter andare a passare il Tet al proprio paese, riuscendo a trovare con molte difficolta’ un biglietto e sentirsi gia’ fortunati per questo traguardo raggiunto. Piccole felicita’ assaporate e anche nella scomoda sistemazione del treno qualcuno pensava che, in fondo, era meglio quel viaggio su quei duri schienali di legno piuttosto che un posto su quegli autobus pericolosi, ricolmi di merci e di corpi, a volte anche di galline e motorini, dove il caldo soffocava e il freddo della notte ti gelava le ossa.

In quel periodo qualunque mezzo di trasporto si scegliesse, un posto arrivava a costare anche tre volte piu’ del normale.

Ma si accettava tutto e anche nella situazione piu’ negativa si trovava sempre qualcosa per ritenersi fortunati. Erano questi i pensieri che tra un appisolarsi e l’altro si accavallavano nel mio cervello. Ero stata fortunata, quel posto in treno , quando ormai stavo quasi per rinunciare al ritorno a casa. Non volevo ripensare a come avevo racimolato quelle banconote, a quando ero andata a prendere il biglietto cosi’ tanto desiderato e ritrovarmi a non avere soldi abbastanza per c’era stato ancora un ulteriore aumento. Quanta disperazione! Cosa fare?....come trovare altri soldi in cosi’ poco tempo?

-“Passero’ nel pomeriggio.”

Cosi’ avevo detto senza crederci molto. Poi come nelle favole , l’aiuto di un amico incontrato casualmente ed ecco materializzarsi le poche banconote necessarie per ottenere quel pezzetto di carta cosi’ tanto desiderato.

Ora ero in viaggio finalmente sul treno che mi avrebbe portato a casa.

Erano 3 anni che non tornavo e mi sentivo in colpa per tutto quel tempo passato lontana da mia madre. Ogni volta che la sentivo al telefono cercavo di trattenere le lacrime affinche’ Lei non intuisse quanto dolore avevo nel cuore. Avevo fatto di tutto per non farle capire....a volte ridendo piu’ del normale, facendo complimenti per ogni cosa che Lei mi raccontava,mentre nella mia mente si affolavano tutte le preoccupazioni per la mia vita cosi’ precaria. Attraverso il telefono sentivo la voce di mia madre e nella mia mente rivedevo i suoi occhi infossati di donna modesta e orgogliosa e le sue mani scheletriche e raggrinzite dall’umido e dal sole dei tanti anni passati a lavorare in risaia . Mia madre solitamente fredda e severa a volte dimostrava pero’ una straordinaria tenerezza . Infatti, qualche settimana prima della partenza mi era arrivata una sua lettera e ora la portavo con me. Sembrava come un tizzone ardente, li’ nella mia tasca, come se le parole che ormai sapevo a memoria si fossero impresse simili ad un marchio di fuoco nella mia anima.

“..........figlia mia cara, quante cose vorrei dirti, ma ho capito lo stesso che in te c’e’ tanto dolore.....e quello che mi sconforta e’ che non posso fare nulla per te, perche’ sono lontana, perche’ sono una campagnola ignorante e in quella grande citta’ non conosco le cose, quel mondo cosi’ lontano dalla mia mente......e non ti ho dato molto dopo averti fatto nascere....non so se ci sara’tempo per un altro Tet insieme...... Grazie di esserci mio piccolo fiore azzurro.......”

Avrei preferito una lettera piena di maledizioni, di rancore per non averla chiamata spesso...e poi quell’idea che forse sarebbe mancato il tempo per passare un altro capodanno insieme mi creava ancora piu’ agitazione e dolore.

Quella lettera, riletta e rimessa dentro la tasca ormai tante volte, non me l’aspettavo. E per questo avevo fatto di tutto per poter ritornare a casa.

Ripensavo a tutto questo, mentre intanto il viaggio continuava...nella notte i rumori del vagone si erano attutiti, coperti dallo sferragliare del treno. Spesso pero’ c’erano delle lunghe soste, nel buio della notte in mezzo alla campagna e allora si sentiva il pianto di qualche neonato, la dolce ninna-nanna di una madre, poche parole sussurrate o il rumoroso russare di qualche viaggiatore. Ogni spazio che durante il giorno era vuoto, come il corridoio centrale, ora e’ invece occupato dai corpi sdraiati di qualcuno che aveva trovato cosi’ un posto piu’ comodo per dormire, steso per terra su qualche giornale. Piu’ in la’ di alcuni sedili ci sono dei giovani soldati che, per non rovinare con il lungo viaggio la bella giacca della divisa, sono rimasti in maglietta verde e sulla reticella dei bagagli , aldisopra della loro testa, si vedono le loro giacche ripiegate con all’interno il cappello con la visiera. Per passare il tempo giocano a carte con alcuni studenti e ogni tanto si sentono le loro giovani risate.

Di fronte a me c’e’ una ragazza accoccolata sul petto del suo ragazzo. Lei e’ addormentata mentre il ragazzo la tiene tra le braccia nonostante la posizione scomoda. Ogni tanto la guarda e le tira su’ una ciocca del lunghi capelli neri sfuggita nel sonno. Mi fanno tanta tenerezza e anche un po’ d’invidia. Vorrei essere anche io amata e protetta.....scambiarsi la vita ....ma non sarebbe bello per lei, povera ragazzina.....io avrei una vita migliore in ogni caso...Lei invece avrebbe tutta la mia infelicita’.

Chiudo gli occhi cercando di prendere sonno con la voglia di riaprirli all’improvviso e trovarmi in un altro posto, un altro mondo, lontano da tutto cio’ che mi fa pensare e soffrire. Quante cose, mia cara madre, non ti ho raccontato! Non potevo dirti che cosa avevo fatto per venire da te. Quante sere sono tornata tardi facendo mille lavori, quante porte che mi sono state spattute in faccia, da chi avrebbe potuto aiutarmi. Per un certo periodo avevo trovato un lavoro e mi sembrava di aver trovato una soluzione. La mattina avrei potuto andare all’universita’ e , nel tardo pomeriggio e la sera , facevo la cameriera in un ristorante. Tutto e’ durato fino a quando una sera un cliente, che aveva bevuto troppo, ha incominciato ad assillarmi, a toccarmi. Cercavo con calma di non reagire e lui invece si arrabbiava ancora di piu’. Non so’ cosa gli venne in testa, ma in un raptus ecco che lui mi rovescia in viso la pentola di Lau bollente. Risentivo ancora adesso il mio urlo, cosi’ straziante, la corsa al pronto soccorso dell’ospedale. E poi quando tornai a casa tolsi tutti gli specchi e coprii tutti i vetri delle finestre di quel piccolo buco che era la mia casa. Non avevo il coraggio di vedere come era ridotto il mio viso e la mia testa senza capelli. E poi , dopo piu’ di un anno, mi era rimasta quell’orrenda cicatrice a ricordarmi ogni giorno cio’ che era successo, il gesto folle di un uomo violento e ubriaco, che non voleva accettare di essere stato rifiutato. ...

Avevo imparato a nasconderla molto bene, quell’orribile cicatrice, con le lunghe ciocche ondulate dei miei capelli. Mi ero seduta apposta dal lato del finestrino cosi’ da non spaventare qualcuno. Ma in qualche istante vedevo la mia immagine riflessa nel vetro e facevo finta di vedere qualcun altro. Un’altra me stessa appartenente al passato ma purtroppo sempre con me. Per un po’ di tempo, quasi non avevo il coraggio di uscire....ma poi piano piano il tempo aveva fatto ricrescere i capelli e cosi’ riuscivo ad andare in giro senza farmi notare. Cosi’ riuscii anche a trovare un altro lavoro : per fare le pulizie negli uffici, all’alba o la sera tardi, non e’ necessario essere carine. E cosi’ , piano piano avevo messo da parte il denaro per poter tornare a casa e accettare il richiamo di quella lettera di mia madre.

Un altro scossone e il treno riprende ad andare dopo un’ennesima sosta...Riapro gli occhi e incontro lo sguardo di uno dei giovani studenti che prima giocava a carte con i soldati. Mi sono accorta da un po’ della sua attenzione per me soprattutto quando facevo finta di dormire. Sapendomi addormentata il giovane era meno intimidito e quasi sentivo i suoi occhi indugiare su di me...qualche minuto...e poi allo spalancarsi improvviso dei miei occhi, ecco che lui distoglieva in un attimo il suo sguardo.

Potrei togliergli subito ogni illusione offrendogli la visione della parte destra del mio viso. Chissa’ che choc per lui!!

Non ha importanza....Gli lascio la liberta’ di guardare e non gli rovino cosi’ l’emozione della bella storia che si sta creando nella sua testa. E a me tolgo ancora una volta la possibile felicita’ di una vita diversa.

E’ l’alba ormai e piano piano il vagone prende vita...lo squillo di qualche cellulare, il parlottio quasi sussurrato frammisto al vagito di un neonato. A difficolta’ qualcuno si fa strada tra i viaggiatori ancora addormentati, stesi nel corridoio, per raggiungere la toilette.

Forse e’ il momento giusto per sgranchirsi un po’ le gambe e andare in bagno. Il giovane dallo sguardo timido sta dormendo e non c’e’ ancora abbastanza luce per riuscire a vedere meglio il mio viso.

Riesco a superare gli ostacoli cercando di non calpestare qualcuno e raggiungo la toilette.

Quando torno seguo lo stesso percorso ma con meno difficolta’ perche’ qualcuno gia’ sveglio riprende il suo posto normale sul sedile, spostando un po’ un bambino sdraiato o appoggiandosi su di un angolo. Alcuni viaggiatori aprono le loro borse, cercano qualcosa nei bagagli o nei pacchi ammucchiati ed escono fuori alcune bottiglie d’acqua e qualcosa da mangiare.....forse tra poco passera’ qualcuno per vendere un caffe’ qualcosa di caldo......Un caffe’!!! Un bel caffe’ caldo che possa riscaldarmi le ossa e anche l’anima. E’ tanto che non sento amore, gioia, sentimenti....in quello che faccio non c’e’ amore, nella mia vita ormai non c’e’ piu’ gioia e non c’e’ speranza che ce ne sia in futuro.

Basta! Poche ore ancora e saro’ arrivata. Anche i due ragazzi di fronte a me sono svegli, lei occupata a specchiarsi e a pettinarsi mentre lui le fa’ i dispetti, tirandole fuori con le mani qualche ciocca di capelli da quelli appena riordinati nella lunga coda. Forse hanno solo qualche anno meno di me ma mi sembrano dei bambini e io mi sento gia’ come una vecchia.

Si e’ svegliato anche il mio giovane timido. Mi guarda con un sorriso come un bambino che al risveglio dopo la notte di Natale avesse trovato i regali scintillanti lasciati per lui. Non posso dirgli che vorrei tanto essere come un bel regalo per lui, la promessa di un futuro sereno, un amore, dei figli...

Gli sorrido con dolcezza e dentro di me lo ringrazio per questo momento di sogno e inutile illusione.

Finalmente arriva l’inserviente con il caffe’ . Quasi non me ne ero accorta perche’ mi ero un po’ appisolata. Cerco nella borsa il denaro per essere pronta quando il carrello arrivera’ piu’ vicino.

Arriva la ragazza, ma non faccio in tempo a chiederle il desiderato caffe’, me lo da’ lei, direttamente, e mentre sto’ per passarle il denaro Lei mi guarda sorridente e mi indica il giovane timido.

-“E’gia’ pagato. E’lui che te lo ha offerto. Buona giornata!”

Ringrazio il giovane con un cenno. Forse non e’ proprio cosi’ timido come mi sembrava.....Ormai manca poco e cosi’ potro’ anche mettere fine a questa situazione che potrebbe diventare imbarazzante. Forse anche lui ha capito che non sono molto disponibile e, un po’ deluso, comincia a riordinare i bagagli per essere pronto all’arrivo.

I soldati si sono ormai rivestiti della bella giacca della divisa, si sono ravviati i capelli appena inumiditi mentre si erano lavati nella toilette e cercano di sistemarsi il cappello con la visiera specchiandosi nel finestrino del treno. Guardo anche io attraverso il finestrino il susseguirsi di risaie, di villaggi e case, la campagna e le piccole strade percorse da cortei di piccole anatre in processione verso lo stagno. Quando sono in citta’ mi da’ un po’ di calma pensare ai colori della campagna, al verde luccicante del giovane riso e al giallo della pianta ormai pronta per essere raccolta. E ripenso al colore delle acque dei fiumi impetuosi, al fango attraversato dal bufalo per preparare la terra a ricevere i germogli...alle donne chine nell’acqua sotto il sole ....rivedo le ali bianche delle cicogne che attraversano il cielo azzurro per poi deporsi sulla risaia, con le giovani piante mosse dal vento e che mi sembrano un mare ondeggiante....come mi e’ caro questo mondo della mia infanzia, molto di piu’ oggi che vivo da tanto tempo in citta’.

E’ per questo che dovevo tornare al mio paese, per sentire questa emozione e riuscire a goderne, quasi ad assorbirla per poter continuare a tirare avanti.Volevo ritrovare un momento di felicita’, di pace e ritrovarmi tra le braccia di mia madre per ancora una volta. Penso a questo mentre il treno entra ormai nella stazione e sorrido mentre vedo avvicinarsi lo studente , ora non piu’ cosi’ timido ma certamente molto testardo.

- Posso aiutarti con la valigia?, mi dice ancora un po’ timoroso.....all’improvviso mi sento strana e mi accorgo che anche la mia cicatrice e’ come scomparsa, non e’ importante....e’ ancora nella mia anima....ma ci sono tante cose piu’ gravi a questo mondo e vorrei tanto avere anche io un po’ di felicita’. Nel passargli la valigia le nostre mani si sfiorano ed e’ come una scossa. Punto i miei occhi nei suoi e vedo che lui mi guarda il viso. E non mi sembra poi cosi’ spaventato.

-“Non preoccuparti, per me sei bellissima!!

   Sài Gòn 10-2012






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